Non ricordo l’ultima volta in cui mi sono divertita a sognare ad occhi aperti. Semplicemente seduta vicino al fuoco, con il mio tè natalizio speziato, a guardare la neve che cade e… sognare. Un tempo lo facevo spesso: era il mio modo di giocare. Paradossalmente rendeva la vita reale più interessante e più bella. Vorrei tanto ritrovare quel modo di sognare!
Devo ammettere che, in un certo senso, ho continuato a sognare ad occhi aperti: scrollando alcuni account sui social. Ma mi sono resa conto che questo non rendeva la mia vita né più reale né più bella. Certo, alcuni contenuti mi facevano ridere; altri mi facevano arrabbiare; più spesso mi lasciavano semplicemente scioccata. È patetico come abbia finito per incorporare ciò che vedo online nella mia realtà, persino nei miei sogni.
Perché non riuscivo più a sognare da sola? Perché avevo bisogno che lo smartphone scegliesse i sogni al posto mio? È successo senza che me ne accorgessi, lentamente. È iniziato con telefonate continue, messaggi brevi ed e-mail.
Poi sono arrivate le cuffie, la musica, i video. E infine qualcuno ti chiede del tuo profilo:
«Non hai un account? Oggi è fondamentale per il business! Tutti ce l’hanno. È lì che succede tutto!»
Così, dopo vent’anni di telefoni cellulari, mi sono ritrovata con lo smartphone sempre addosso: un po’ per sicurezza, un po’ perché “tutto accade lì”. Senza quasi accorgermene ho iniziato a seguire account del tipo “mamme pazze, esaurite ed esilaranti che sopravvivono ai figli piccoli”. All’inizio ridevo e mi sentivo meno sola. Ovunque nel mondo c’erano mamme con la stessa folle routine h24. La madre come “vittima” di una dinamica familiare ingestibile.
Ma è davvero così?
Che cosa stiamo facendo quando condividiamo e postiamo contenuti sui social? Ci stiamo cercando scuse per non chiedere aiuto e non incontrare gli altri nella vita reale? O è solo esibizionismo—apparenza online come fine a se stessa? Per non parlare del voyeurismo adolescenziale. È davvero questo che ci rilassa?
Mi ha sorpresa scoprire come usiamo i social—io compresa—soprattutto noi madri e i nostri figli, adolescenti inclusi. Non so quando sia successo, ma l’account di una madre di cinque figli, ansiosa e distrutta, ha catturato la mia attenzione. Non solo: ne ho interiorizzato i comportamenti, fino a diventare, a mia volta, una madre stressata, nevrotica, esausta.
Ho cominciato a riflettere su ciò che seguivo. Ero diventata un account ambulante.
Chi mi ha svegliata da questa realtà distorta? Mio marito, naturalmente. Più presenti, premurosi e amorevoli di quanto immaginiamo, gli uomini hanno bisogno di vederci felici. È semplice.
Mi ha aiutata a vedere tre strade:
1. Continuare così e accettarne le conseguenze—ma senza definirmi “vittima” di una situazione che ho creato io.
2. Chiudere tutti i profili (taglio netto) e ricominciare da zero—magari tornando a suonare il pianoforte.
3. Usare i social in modo più consapevole e costruttivo: per vendere libri, esprimermi, seguire contenuti sani che mi fanno ridere, scegliere la prossima meta, trovare rimedi naturali…
Ho scelto la terza opzione. E la mia vita è migliorata enormemente. Filtrando ciò che consumo online ho ritrovato il mio sognare ad occhi aperti.
Concludo con una citazione di Delmore Schwartz: «Nei sogni cominciano le responsabilità».